Gorizia è una città poco conosciuta. Tra le province del Friuli Venezia Giulia è la meno popolosa, certo, ma il suo territorio ha secoli e secoli di storia. É ancora uno dei comuni italiani con il più alto tasso si associazionismo, questo va riconosciuto, e ancora si distingue soprattutto per la multiculturalità, il plurilinguismo, l'architettura e la gastronomia che fino ad oggi hanno conservato elementi  latini, austro-ungarici e slavi. 
Gorizia è una città universitaria, o meglio, dovrebbe esserlo. Il condizionale è d'obbligo viste le varie ordinanze anti schiamazzi che hanno trasformato la “Nizza austriaca” nella sua mera ombra. 
Gorizia è una città grigia, per molti noiosa, vecchia, ma sa anche brillare, ai piedi del castello che si erge tra Italia e Slovenia e al verde innaturale dell'Isonzo che l'attraversa. 
Gorizia è musica, folclore, colore del passato unito alla modernità. Ma Gorizia è anche questo:


 
Gorizia in questi mesi ha provato cosa vuol dire essere Lampedusa. Meta di arrivi, tanti, e poche partenze.
La città è stata messa a dura prova e le ripicche politiche tra l'amministrazione provinciale e quella comunale, rispettivamente di centro sinistra e centro destra, non hanno aiutato la gestione dell'emergenza immigrati. Anche se, a onor di cronaca, di emergenza non si è trattato. Gli afghani, i pakistani e i siriani in questione non sono arrivati di punto in bianco una mattina di settembre.
Prima di essere ospitati nella tendopoli di via Brass in pieno centro a Gorizia, già si sapeva della loro presenza. Vivevano nelle diverse baraccopoli allestite lungo il fiume Isonzo. Per settimane, mesi, hanno dormito lì, all'addiaccio, tra Sagrado, Gradisca e Gorizia, senza luce, poco cibo e bevendo l'acqua di fiume. Poi, i vertici provinciali hanno deciso di agire.
I due quotidiani locali, Il Piccolo e Messaggero Veneto, hanno riempito pagine e pagine di articoli dedicati a sciogliere i nodi della politica regionale e nazionale sul fronte immigrazione, ma non hanno mai risposto alle domande che molti si ponevano, prima tra tutte, perché a Gorizia?
Certo, non è il primo porto di salvezza come Lampedusa lo è per i nord africani, ma neanche il primo ingresso diretto che dall'Afghanistan da accesso all'Europa.
La maggior parte di questi ragazzi e uomini sono arrivati via terra, a piedi o a bordo di camion affollati che dai balcani li hanno portati in Italia, passando anche per l'Ungheria e l'Austria. Alcuni, già ad agosto, erano stati avvistati a piedi sia sulla A34, che da Villesse porta a Gorizia, sia sull'altopiano carsico triestino.
Non più tardi di una settimana fa la Polfer di Udine ha individuato un'altra decina di clandestini, tra cui un minore ora affidato, in accordo col Tribunale dei minori di Trieste, a una struttura protetta individuata dal Comune di Tarvisio.
Quanto agli altri, sono stati tutti denunciati a piede libero per l’ingresso clandestino in Italia e, essendo richiedenti asilo politico nella nostra Repubblica, sono stati inviati agli uffici di competenza. Ed ecco qui la risposta alla principale domanda: perché a Gorizia? A suo tempo la legge Bossi-Fini (n. 189/2002) e il relativo regolamento di attuazione (DPR n. 303/2004) istituirono sette Commissioni territoriali per il riconoscimento dello 'status di rifugiato' cui si aggiunsero, con decreto legislativo n. 25 del 28 gennaio 2008 e relativo decreto ministeriale di attuazione (6 marzo 2008) altre tre sedi, tra cui appunto Gorizia, individuata come unica sede competente sulle domande presentate nell'intero Triveneto. Considerata inoltre l'esistenza del Cara di Gradisca, la presenza degli immigrati sul territorio isontino era ed è quantomeno comprensibile. Chi avrebbe dovuto soffermarsi su questo aspetto importantissimo, aiutando la comunità locale a capire ed affrontare il problema nel migliore dei modi, ha preferito fomentare le polemiche e i giochi di potere, che non sono cessati neanche quando i goriziani, alcuni, hanno agito in prima persona:




Sì, Gorizia è anche questo: una piccola cittadina fatta di persone che non riescono a pensare con obiettività.
Si tratta di cittadini comuni che non si sentono presi in considerazione, se non quando il loro disagio passa da Il Piccolo all'Ansa perché gli immigrati sono stati trasferiti a Milano.
Questi cittadini soffrono una politica fatta di annunci e promesse, si sentono messi alle strette da un'economia bloccata e da un tessuto sociale ormai congelato nella sua sterilità. Vedono nell'immigrato il nemico, colui che ha rubato loro qualcosa, quel diritto al sussidio, alla protezione.
Dietro ai goriziani volontari che hanno ripulito le rive dell'Isonzo assieme agli stessi immigrati, dietro a quelli che hanno quotidianamente assistito e aiutato i richiedenti asilo, portando loro, giorno dopo giorno, acqua, viveri e coperte, ci sono anche quei goriziani che non si sentono più tali, che non sono più tali. Quelli che hanno dimenticato le loro origini, radicate in una terra di ibridi, che ha battuto decine di bandiere, in una città prima veneta, poi austriaca e infine italiana.
Come Gorizia ci sono tante altre realtà sullo scenario italiano ed europeo che soffrono dello stesso malessere, l'acuto e profondo senso di abbandono, di sfiducia nelle istituzioni e di paura del diverso, anzi, semplicemente dell'altro. É questo uno dei veri drammi dell'Italia di oggi, tanto difficile da affrontare, quanto facile da strumentalizzare.