Leggevo un bellissimo post di Sergio Maistrello sul nuovo giornalismo. Un sogno ad occhi aperti? Forse. Un work in progress? Decisamente più probabile. In entrambi i casi voglio farne parte.
Sin dalle prime righe mi pareva di capire dove volesse andare a parare: c'è bisogno di cambiare prospettiva, non vogliamo conservare ma creare e la rete ormai da anni lo permette; la natura dei contenuti è cambiata, sono liquidi, dalle forme non più prestabilite, circolano liberamente adattandosi ai contenitori sociali che li generano e li interpretano. Possono essere collegati, sviluppati e rigenerati non più o non solo dal giornalista, ma dagli abitanti della rete, i cittadini, tutti potenziali intermediari, selezionatori, creatori e condivisori.
In questa prospettiva il contenuto, dice Maistrello, non è più il fine ma il mezzo, uno strumento per creare relazioni, connettere persone, pensieri, opinioni, fatti, insomma un HUB.
La prima volta che ho sentito questa parola é stato esattamente un anno fa, nel contesto di ReHub - le idee prendono spazio, il workshop di coprogettazione internazionale per la realizzazione del nuovo spazio HUB in Italia, il primo a Trieste, dove ho partecipato come curatrice del tumblr blog dedicato all'evento e al nuovo "snodo" giuliano.
Durante la 4 giorni + 1 in solitaria che ho vissuto come unica partecipante comunicatrice, non desiner o architetto, ho conosciuto questa intricata e intrigante realtà dell'HUB, uno spazio-tempo che aggrega e mette in contatto menti, esperienze e abilità prima viste e vissute come separate e inconciliabili.
Ricordo che in occasione del workshop ho conosciuto un laureando dell'Università di Ferrara venuto a documentarsi sulla nascita di The HUB Trieste in quanto esempio della nuova, ideale, futura società del sapere condiviso e co-creato che coraggiosamente teorizzava nella sua tesi di laurea, ipotizzando l'inutilità dell'Università come istituzione di formazione e cultura e la non necessaria certificazione delle competenze.
Quanto a questo particolare punto di vista, io proponevo e proporrei tuttora una soluzione opposta, ovvero la trasformazione delle Università da obsoleti, statici, incancreniti e superati "istituti di alta cultura" (come li definisce la Costituzione italiana - art.33, titolo II, parte prima) ad innovativi e alternativi HUB, punti di incontro e scambio, non più tra studenti e docenti, ma tra esperti e potenzialità, tra innovatori e seguaci dell'innovazione. Per un ateneo del genere bisognerebbe eliminare concetti come facoltà, corso di laurea, classe delle lauree e simili e vedere l'istituzione più come una sorta di grande centro commerciale che mette a disposizione dell'utente tutti i suoi diversi prodotti. È ovvio che poi, sulla base dei gusti, delle competenze e dei profili che si vogliono acquisire starà all'utente/studente fare la scelta più adeguata possibile, non più, ripeto, tra facoltà, classe delle lauree o corsi di laurea, ma tra i singoli corsi offerti e tenuti solo (altro punto fondamentale per la riuscita del progetto) da esperti che si siano cimentati e che lavorino quotidianamente nel contesto di cui parlano e nel mondo di cui si fanno portavoce.
Non è forse qualcosa che è già in atto in rete? Grazie ad essa tutti noi abbiamo la possibilità di cercare, trovare, creare sapere e conoscenza, dire, ascoltare, vedere, chiedere, testimoniare, commentare; così facendo i contenuti si moltiplicano, rigenerano, separano e riconnettono. Ecco che allora, l'idea di applicare questo modello di condivisione alle Università, così come ai giornali, tornando alla proposta di Maistrello, non è poi così difficile da immaginare, o meglio, e qui parlo per me, è facile capire e vedere cosa si vuole raggiungere, ma non come fare per vederlo realizzato. 
Io vorrei un giornale che mi dia l'informazione nuda e cruda, che dopo il chi e il cosa mi dica dove, quando, come e perché; non mi servono fronzoli, dichiarazioni di esperti chiamati a dare giudizi; per tutto il resto c'è il link. Voglio semplici dati da poter interpretare liberamente, da poter leggere, sviscerare, assorbire e comprendere, io insieme agli altri colleghi lettori e scrittori. Voglio un giornale che si costruisca davanti ai miei occhi, che non abbia menabò, che non abbia orari, che viva per e grazie alla comunità di cui racconta e che attraverso di esso si racconta e si legge, si analizza, si contempla, si migliora. 
Non si tratta di una serie di pagine scritte sul nulla da chi sa accendere un computer e connettersi a Internet; è qualcosa di più complesso, una sorta di autoritratto più informativo e meno artistico, un organo vitale il cui battito è all'unisono con quello della comunità di cui è immagine.
É difficile vederlo per voi? Per me no. Sarebbe geniale, ma mancano i presupposti fondamentali, primo, la libera informazione, ovvero l'accesso libero, sempre, comunque, per chiunque alle informazioni pubbliche, secondo, la società attiva, interessata, partecipe, munita delle 3 armi più disastrose e potenti che ci siano al mondo: la parola, il cervello e il consapevole e cosciente uso di entrambi. 
Non mi resta che concordare con Maistrello, dunque, quando dice che ipotizzando il giornalismo che verrà ci si ritrova a prospettare il segnale (o lo strumento) di un cambiamento soprattutto culturale, ma anche in questo, soprattutto per questo, il giornalista di oggi può fare da apripista rimanendo ancorato ai dogmi della professione: accuratezza, indipendenza, trasparenza, legalità.