Oriana Fallaci. Uno dei personaggi italiani da ammirare, una delle più grandi giornaliste e delle migliori persone che io abbia mai conosciuto. Certo non parlo di una conoscenza personale, piuttosto di un rapporto cresciuto ad ogni libro da lei scritto, ad ogni notizia biografica scovata, ad ogni articolo pubblicato, scoprendo una sintonia tale, difficilmente pensabile se non tra persone che convivono o condividono qualcosa, un pezzo di vita, un'esperienza, tra persone che si conoscono, che si toccano e che si raccontano guardandosi negli occhi e ascoltando le proprie voci.
Io invece ho letto i suoi pensieri, immaginato il suo sguardo e toccato solo la carta stampata, rilegata e venduta in libreria con su trascritta in romanzo, in autobiografia o in critica, la sua personalità.
Delle sue opere ho letto Lettera a un bambino mai nato, Niente e così sia, Penelope alla guerra, La rabbia e l'orgoglio, La forza della ragione, Oriana Fallaci intervista se stessa Un uomo, e quest'ultimo è certamente il più intenso che, fin'ora, ho scoperto.
La tragedia narrata è quella di un uomo tormentato perché cosciente "del sangue e della merda", dell'ipocrisia nel mondo, nella sua Grecia; un poeta dilaniato dalla volontà di contrastare un potere incontrastabile e per questo in un precario stato emotivo, in bilico perenne tra l'euforica rincorsa al miraggio, all'utopia e la deprimente rassegnazione, la consapevole sconfitta. E' la storia dell'uomo che la Fallaci ha amato, ha seguito per tre anni, lunghi e tormentati, in cui ha interpretato fedelmente il ruolo di Sancho Panza, per lei costruito da Alekos Panagulis, un eroe, un combattente della resistenza greca, morto per ideali degni, ma non "convenienti".
La storia d'amore è così strana, non una love story da favola, è una passione mentale, una nauseante dipendenza anch'essa sempre tesa tra sentimenti agli antipodi, che solo poi, forse tardi, possono far parlare d'amore i due protagonisti.
La lettura non è facile, la storia di Panagulis è pregna di sofferenza, un dolore continuo dalla sua cattura dopo il fallito attentato a Papadopulos, ai ripetuti trasferimenti di prigione in prigione, dall'incredibile scarcerazione alla miriade di progetti futuri, mai concretizzati e conclusi così come erano stati maturati. Si percepisce perfettamente il senso di vuoto che può provare solo una persona che ha lottato sempre, ad ogni occasione, a ogni condizione, dovendo poi, rassegnarsi; non è stata una rinuncia all'azione, ma una tacita arresa alle regole del gioco dei Potenti.
Se già c'era la stima nei confronti della Fallaci, una persona che fino all'ultimo non ha rinunciato a dire ciò che pensava, a denunciare le ingiustizie nel mondo e gli scomodi scheletri nell'ampio armadio italiano, con questo libro non poteva non crescere in me il rispetto per il combattente Panagulis, e la simpatia per la sua personalità strampalata e bizzarra.
"Il popolo insomma. Quel popolo che fino a ieri t'aveva scansato, lasciato solo come un cane scomodo, ignorandoti quando dicevi non lasciatevi intruppare dai dogmi, dalle uniformi, dalle dottrine, non lasciatevi turlupinare da chi vi comanda, da chi vi promette, da chi vi spaventa, da chi vuole sostituire un padrone con un nuovo padrone, non siate gregge perdio, non riparatevi sotto l'ombrello delle colpe altrui, lottate ragionate col vostro cervello, ricordate che ciascuno è qualcuno, un individuo prezioso, responsabile, artefice di se stesso, difendetelo il vostro io, nocciolo di ogni libertà, la libertà è un dovere, prima che un diritto è un dovere. Ora ti ascoltavano, ora che eri morto."
Andare contro chi comanda, perché se è sbagliato si deve combattere, avere il coraggio di andare contro corrente. Ma ancora adesso non si può: anche davanti alle ovvie, palesi ingiustizie, chi parla viene zittito e da chi? Da chi ha il potere e dalle capre che lo seguono. Un Alekos Panagulis farebbe tanto comodo nell'Italia di oggi, non perché ci sia bisogno della morte di un contestatore, quanto per la forza delle sue proteste. Le stesse già scritte e ripetute dalla Fallaci, e cosa ne è rimasto? Nulla. C'è chi la ricorda solo come istigatrice alla violenza per le sue idee fermamente anti islamiche, ignoranti che non hanno mai letto nulla di lei e su di lei. Altri la apostrofano come fascista, ignoranti e imbecilli che non hanno idea della sua infanzia da partigiana, passata a portare fucili e mine ai resistenti che insieme al padre combattevano la sciagura italiana, il Duce.
Qualche lettura sugli autori prima di giudicarli, qualche conoscenza delle persone prima di etichettarle...
Ma sono degna io di pensarmi una Panagulis? Posso io credere di somigliargli solo perché non faccio parte del gregge, del popolo prostrato ai piedi di chi oggi detiene il potere, di chi domani lo deterrà?
Non ho mai fatto nulla di concreto sul campo, la politica, perché è lì che bisogna agire per cambiare le cose, in politica. Ma non sono all'altezza, non ho idea di cosa voglia dire quel mondo di ricatti e compromessi, quella staffetta di favori e ricambi. Forse già sapere questo, già l'aver intuito le regole del gioco è un'azione valida. D'altronde anche Panagulis, invano, deputato del Parlamento greco, ha poi rinunciato, s'è dimesso per due volte dall'odioso partito, chiudendo per sempre "con la politica dei politici".
"E ora mi odiano all'unanimità: a destra, a sinistra, al centro, all'estrema destra, all'estrema sinistra, e all'estremo centro. Un plebiscito. Sicché se stanotte finissi investito da un camion o avvelenato da un piatto di funghi, non chiederti chi mi ha ammazzato. Mi hanno ammazzato all'unanimità: a destra, a sinistra, al centro, all'estrema destra, all'estrema sinistra, e all'estremo centro".
No alla politica dei politici...no alla politica dei politici.